El Comercio De La República - Web e AI: Google vs ChatGPT

Lima -

Web e AI: Google vs ChatGPT




Da quando le “risposte pronte” generate dall’IA sono entrate stabilmente nei risultati di Google, l’industria del web ha cambiato ritmo. Nel maggio 2024 Google ha portato gli AI Overviews agli utenti e, tra primavera ed estate 2025, li ha estesi capillarmente in oltre duecento Paesi e in decine di lingue. Nel frattempo, ha debuttato anche AI Mode, l’esperienza conversazionale che trasforma la ricerca in un dialogo con Gemini. Sono due tasselli della stessa strategia: dare risposte complete senza obbligare l’utente a cliccare su più link. Per editori, SEO, e-commerce e inserzionisti è iniziata un’era nuova, fatta di meno “dieci link blu” e più sintesi automatiche. 

Meno clic (ma più impression): cosa dicono i dati
I primi numeri sono inequivoci: quando appare un riepilogo IA, la probabilità che l’utente apra un risultato tradizionale si riduce sensibilmente. Studi indipendenti hanno misurato tassi di clic quasi dimezzati rispetto alle SERP senza riassunto IA. Allo stesso tempo, gli AI Overviews aumentano le impression: più visibilità complessiva in pagina, meno traffico effettivo ai siti sorgente. Per molti editori la curva delle visite organiche è scesa, a volte bruscamente; da qui l’accelerazione verso abbonamenti, eventi, newsletter e canali proprietari per compensare la perdita del traffico “gratis” da ricerca. 

L’espansione (e le cautele) in Europa
In Europa, il rollout è arrivato con prudenza, tra sperimentazioni, limiti d’età e indagini regolatorie legate a concorrenza e diritti editoriali. Nel primo semestre 2025 la Commissione europea ha preso in esame gli impatti degli AI Overviews sul mercato e sul pluralismo informativo, mentre Google ha iniziato a rendere disponibili le funzioni in vari Paesi europei con requisiti aggiuntivi per gli utenti. 

Qualità delle risposte: progressi e inciampi
La maturità tecnologica è in rapido miglioramento, ma non sono mancati inciampi mediatici: dagli “errori curiosi” del 2024 alle sviste più recenti, i casi di risposte sbagliate hanno acceso i riflettori sul tema dell’affidabilità. Google ha più volte corretto il tiro e ridotto la copertura su query sensibili, ma la tensione tra velocità e accuratezza resta un punto d’attenzione per chi dipende dalla reputazione online. 

Pubblicità: arrivano gli annunci dentro i riepiloghi
La monetizzazione segue la nuova UX: gli annunci sono entrati nei riassunti generati dall’IA e nell’esperienza AI Mode. Al momento gli spazi si alimentano soprattutto dalle campagne esistenti (in base a segnali come keyword e contesto), mentre i brand sperimentano creatività e misure di performance in un ambiente dove il clic verso sito non è più l’unica metrica. Per i marketer, l’obiettivo diventa presidiare anche la risposta (non solo la posizione del link). 

Google vs ChatGPT: due modelli a confronto
Google spinge su un’esperienza ibrida che rimescola risultati, immagini, fonti e follow-up in un unico riquadro; il motore resta il punto d’ingresso, l’IA è l’orchestratore. ChatGPT, invece, è nato conversazionale e ha portato la ricerca “dentro” il chat assistant: dalle prime prove di “SearchGPT” si è passati a un’esperienza di ChatGPT search disponibile ampiamente nel 2025, con risposte aggiornate e citazioni in evidenza. Il risultato è che sempre più ricerche partono direttamente nel chatbot, senza passare da Google. 

Sul fronte dell’adozione, le metriche raccontano una corsa testa a testa ma con traiettorie diverse: Google segnala miliardi di utenti mensili esposti agli AI Overviews, mentre ChatGPT annuncia centinaia di milioni di utenti settimanali e una crescita sostenuta. Per i proprietari di siti questo si traduce in una doppia priorità: ottimizzare per la risposta generativa in Google e diventare citabili nei risultati di ChatGPT. 

Contenuti e diritti: dal “fair use” alle licenze
Un passaggio chiave del 2024–2025 è l’emergere di accordi di licensing tra piattaforme di IA e grandi editori: i contenuti non sono solo “scrape”, ma sempre più spesso licenze con compensi e visibilità. Parallelamente proseguono azioni legali e sperimentazioni di modelli di revenue sharing nell’ecosistema della ricerca generativa. Questo quadro spinge i media a negoziare condizioni migliori e, allo stesso tempo, a progettare formati “AI-friendly” che massimizzino citazioni e traffico qualificato. 

Che cosa cambia per SEO, editori, ecommerce
1)  Dalle keyword alle missioni informative. Le query diventano più lunghe e conversazionali; la pertinenza non è più solo “per pagina”, ma per sotto-risposta di un riepilogo. Strutturare i contenuti per rispondere a task completi (passi, checklist, pro/contro, dati) aumenta la probabilità di essere inclusi. 
blog.google

2)  GEO (Generative Experience Optimization). Oltre a title e snippet, contano passaggi citabili, tabelle, FAQ, e segnali di affidabilità (autori, metodologie, fonti primarie). L’obiettivo non è solo il clic, ma la menzione con link dentro la risposta IA. 

3)  Primo-partito e community. Con più “zero-click”, newsletter, app, iscrizioni e community social tornano centrali per la riconversione del pubblico. 

4)  Misurazione. Va rivista l’attribuzione: impression, share of overview, visibilità in AI Mode e referral dai chatbot entrano nei KPI, non solo il traffico organico classico. 

5)  Pubblicità e creatività. I brand devono progettare campagne che vivano dentro le risposte (asset informativi, guide sintetiche, comparatori) e presidiare le query esplorative in cui gli annunci compaiono nei riquadri IA. 

Il punto d’arrivo (provvisorio)
Il web che conoscevamo, organizzato attorno a link e SERP lineari, sta diventando una superficie conversazionale. Google e ChatGPT incarnano due approcci convergenti: il motore che si fa chat (Google) e la chat che diventa motore (ChatGPT). Per chi pubblica e monetizza contenuti, la sfida è duplice: farsi selezionare dai modelli generativi e costruire relazioni dirette che non dipendano da un clic. Chi riuscirà a unire autorevolezza, formati “riusabili” dall’IA e canali proprietari, guiderà il nuovo ciclo del traffico digitale.



In primo piano


Ivana: Dal buio del Fentanyl

«Il fentanyl era la risposta al mio disagio». È la frase con cui Ivana, oggi 28enne, sintetizza un passato di sofferenza e di dipendenza da oppioidi. La sua testimonianza, raccontata nel terzo episodio (EP.3) di una serie di interviste divulgative, è la cronaca di una caduta e di una risalita che parlano a molte famiglie italiane.Figlia di due medici, cresciuta tra Arezzo e le radici ugandesi trasmesse dalla nonna, Ivana descrive un’infanzia serena incrinata all’ingresso nell’adolescenza: isolamento, episodi di razzismo, la sensazione di non appartenere. Prima l’alcol, poi – durante il liceo – il salto ai farmaci presenti in casa: morfina e soprattutto fentanyl, un oppioide sintetico potentissimo. Non cercava “lo sballo”, dice, ma l’anestesia emotiva: spegnere dolore, ansia, inadeguatezza. La tolleranza è cresciuta, così come le crisi d’astinenza, fino a chiuderla per mesi in un appartamento, prigioniera di un consumo incessante.Nel tentativo di ricucire le ferite identitarie, i familiari la mandano per un periodo in Uganda. Lì, una rapina finita in tragedia – lo zio ucciso e lei stessa ferita – segna un’ulteriore frattura. Al ritorno in Italia, la dipendenza riprende il sopravvento. La svolta arriva grazie alla nonna: a 80 anni lascia tutto, la accompagna in una clinica di disintossicazione a Verona e poi in comunità. È in quel contesto che Ivana impara a raccontarsi, ad accettare la vulnerabilità e a costruire nuove abitudini.In comunità scopre la corsa. Non come gara, ma come ascolto di sé. Chilometro dopo chilometro, arriva a concludere la sua prima maratona a Verona. Nel frattempo riemerge un desiderio antico, cresciuto in una casa di camici e stetoscopi: studiare Medicina. Oggi Ivana è iscritta al secondo anno e vive a Firenze. Il suo messaggio ai coetanei è netto: chiedere aiuto funziona; la rete di cura e di prossimità – famiglia, comunità, professionisti – può salvare la vita.Il caso personale non va letto fuori contesto. Il fentanyl è un analgesico oppioide di potenza eccezionale (decine di volte superiore alla morfina) con effetti terapeutici imprescindibili in ambito clinico, ma capace – se usato fuori controllo medico – di indurre rapidamente dipendenza e di provocare overdose per depressione respiratoria. L’antidoto di riferimento, il naloxone, può invertire l’overdose se somministrato tempestivamente, ma l’elevata potenza degli analoghi impone formazione capillare e risposta rapida.L’Italia, pur non registrando i numeri degli Stati Uniti, ha alzato il livello di guardia. Nel 2024 è stato varato un Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di fentanyl e altri oppioidi sintetici, con azioni coordinate: monitoraggio dei mercati, allerta rapida, tracciamento delle prescrizioni anomale, formazione degli operatori sanitari e della rete di emergenza, sensibilizzazione dei servizi territoriali. Nello stesso anno, un campione di eroina venduta a Perugia è risultato contenere una quota di fentanyl: un episodio che ha fatto scattare procedure di allerta e rafforzato i controlli.Sul fronte europeo, nell’agosto 2025 sono entrate in vigore nuove misure sui precursori chimici utilizzati nelle sintesi illecite, con l’inclusione di due intermedi chiave tra le sostanze più rigidamente controllate. È un tassello cruciale: limitare a monte i mattoni chimici rende più difficile produrre fentanyl e analoghi destinati al mercato illegale.La storia di Ivana non è un’eccezione miracolistica, ma l’evidenza che prevenzione, cura e comunità funzionano. Tre i punti che emergono con forza:1) Riconoscere presto il disagio – ansia, isolamento e discriminazione sono fattori di rischio reali; ignorarli apre la strada all’automedicazione pericolosa.2) Abbattere lo stigma – chi chiede aiuto non è “debole”: è competente sul proprio benessere. Lo stigma ritarda l’accesso alle cure.3) Integrare le risposte – medicina delle dipendenze, psicoterapia, interventi sul contesto di vita e strumenti di riduzione del danno (incluso l’accesso al naloxone) devono coesistere.Nel suo EP.3, Ivana consegna una bussola a studenti, famiglie e decisori: dare parole al dolore, chiedere aiuto e pretenderlo, sostenere chi cura. È così che si spezza l’equazione tossica “disagio = oppioidi” e si restituisce alle persone la possibilità di futuro.

Che cosa sente il Corpo in RM?

Cosa succede al nostro corpo durante una risonanza magnetica? All’esterno la risonanza magnetica (RM) sembra silenziosa; all’interno, il nostro corpo entra in un ambiente fisico molto controllato in cui agiscono tre componenti: un campo magnetico statico potente, campi magnetici che variano rapidamente (gradienti) e onde radio (RF). È la combinazione di questi elementi a generare le immagini — e anche le sensazioni più comuni che i pazienti riferiscono.L’allineamento dei protoni: il “segreto” dell’immagineLe molecole d’acqua e di grasso del corpo contengono atomi di idrogeno. Il campo magnetico della RM orienta i loro protoni; brevi impulsi di radiofrequenza li spostano e, quando cessano, l’energia rilasciata viene “raccolta” dalle antenne del sistema e trasformata in immagini. Questo processo è impercettibile: non si sente l’azione del magnete né delle onde radio.Che cosa si percepisce davvero-  Rumore: durante l’esame si avvertono colpi ritmati, fischi o “battiti” rapidi. Non sono segno di guasto, ma l’effetto meccanico dei gradienti che vibrano. Le strutture forniscono sempre protezioni acustiche (tappi o cuffie); con questi dispositivi l’esposizione sonora rientra nei limiti di sicurezza previsti.-  Formicolii o piccoli “sussulti” muscolari: sono dovuti alla rapida variazione dei gradienti, che può stimolare in modo transitorio i nervi periferici. Di solito sono lievi e passeggeri; è sufficiente avvisare il tecnico se disturbano.-  Lieve sensazione di calore: l’energia RF può generare un modesto riscaldamento cutaneo o corporeo, tenuto sotto controllo dal sistema mediante limiti di potenza (SAR) e pause tra le sequenze.-  Capogiri o nausea, specialmente quando ci si muove dentro/fuori dal gantry: nei campi più elevati può comparire un transitorio senso di vertigine perché il magnete interagisce con l’apparato vestibolare dell’orecchio interno. In rari casi si osservano fosfeni (piccoli lampi di luce periferici), innocui e di breve durata.Durata e immobilitàIn base alla regione anatomica e al protocollo, un esame tipico dura circa 15–60 minuti. Restare immobili — e seguire eventuali istruzioni di respiro — evita immagini mosse e ripetizioni.Prima di entrare in salaÈ essenziale rimuovere tutti gli oggetti metallici o elettronici (gioielli, orologi, smartphone, carte magnetiche), indossare abiti senza inserti o filati metallici e, se è interessata la testa, evitare cosmetici con pigmenti metallici (mascara/eyeliner “glitter”). Mascherine, cerotti o sensori con parti metalliche vanno sostituiti con dispositivi compatibili.Impianti e dispositiviMolti impianti moderni (pacemaker, defibrillatori, neurostimolatori, pompe, protesi, stent) sono etichettati come MR Safe o MR Conditional. Oggi la RM è spesso possibile anche nei portatori di dispositivi cardiaci, purché in centri esperti e con protocolli dedicati (programmazione del dispositivo, monitoraggio e parametri di scansione specifici). È fondamentale dichiarare sempre qualsiasi impianto, vecchio o nuovo, e presentare il tesserino del dispositivo.Tatuaggi, trucco permanente e accessoriIn rari casi i tatuaggi o il trucco permanente possono dare sensazioni di calore, pizzicore o lieve bruciore nella zona tatuata, soprattutto se l’inchiostro contiene particelle conduttive. Si tratta quasi sempre di fenomeni transitori; informare preventivamente l’equipe aiuta a prevenire o gestire il disturbo.Contrasto al gadolinio: quando serve e quali effetti aspettarsiIl mezzo di contrasto a base di gadolinio si somministra solo se migliora la qualità diagnostica. Nella maggior parte dei pazienti gli effetti indesiderati sono rari e di solito lievi (per esempio nausea passeggera o alterazione del gusto). Da anni è noto che piccolissime quantità di gadolinio possono persistere nell’organismo: le autorità hanno perciò limitato l’uso di alcuni agenti “lineari”, privilegiando formulazioni macrocicliche, più stabili. Per le persone con grave insufficienza renale si valutano con attenzione indicazione e tipo di agente. In gravidanza l’impiego del contrasto si riserva solo ai casi in cui il beneficio superi chiaramente i rischi; durante l’allattamento, nella maggior parte delle situazioni non è necessario interrompere le poppate dopo la somministrazione.Gravidanza e bambiniLa RM senza contrasto è considerata l’esame di scelta quando occorre evitare radiazioni ionizzanti in gravidanza. Nei bambini, per alcune indagini, può servire sedazione leggera (per restare immobili), con monitoraggio anestesiologico e protocolli dedicati.Claustrofobia: come si affrontaTra l’1% e il 15% dei pazienti riferisce claustrofobia o ansia. Oltre a informazione e tecniche di respirazione, aiutano i sistemi wide‑bore (apertura fino a 70 cm), ambienti con musica/illuminazione dedicata, visori a specchio per “allargare” lo spazio percepito o, se necessario, una blanda sedazione. In selezionati casi si può ricorrere a piattaforme “open”, accettando i possibili compromessi di qualità e tempo.Rischi rari ma reali e perché lo screening è decisivoLe complicanze gravi sono rare. Le più frequenti, se le procedure non vengono seguite, sono ustioni cutanee (per contatto prolungato con la parete del tunnel, cavi/elettrodi che formano “anelli” o dispositivi non compatibili) e incidenti da effetto proiettile quando oggetti ferromagnetici entrano per errore in sala. Per questo lo screening è minuzioso e molte strutture adottano anche rilevatori ferromagnetici in ingresso. Collaborare con i professionisti — dichiarando impianti, ferite metalliche, tatuaggi e stati fisiologici — è la misura di sicurezza più importante.Consigli pratici, in breve• Portare documentazione di impianti o protesi;• Indossare abiti senza parti metalliche; niente cosmetici metallici se si studia la testa;• Segnalare tatuaggi e trucco permanente;• Avvisare se si è in gravidanza o si allatta;• Comunicare eventuale claustrofobia: esistono soluzioni dedicate;• Restare immobili, seguire le istruzioni di respiro e usare sempre la protezione auricolare.

Hansel e Gretel: La bufala

Negli ultimi giorni è tornata a circolare l’idea che un “archeologo tedesco” avrebbe dimostrato che Hansel e Gretel fossero in realtà due assassini vissuti nel Seicento. È una narrazione seducente, ma non corrisponde ai fatti storicamente verificabili. Quella tesi nasce nel 1963 da un’operazione editoriale che imitava in modo perfetto i codici della saggistica scientifica: un libro costruito come un’inchiesta con fotografie, presunti reperti, perizie antropologiche e documenti d’archivio. L’“archeologo” citato in quel volume, però, non è mai esistito, e la ricostruzione è stata smontata pubblicamente già l’anno successivo.Come nasce la storia dei “due assassini”La narrazione oggi rilanciata online racconta di un insegnante appassionato di scavi che, nei boschi dello Spessart, avrebbe individuato i resti di una casupola con quattro forni; all’interno, le ossa parzialmente bruciate di una donna sui trentacinque anni e, in una cassetta di ferro, utensili da forno e un’antica ricetta di panpepato. Incrociando indizi linguistici e fonti locali, il sedicente ricercatore avrebbe identificato la vittima con una celebre pasticciera del XVII secolo, Katharina Schraderin; i colpevoli, secondo questa trama, sarebbero stati un fornaio di Norimberga, Hans Metzler, e la sorella Grete, mossi dal desiderio di impossessarsi della ricetta dei lebkuchen. Il delitto sarebbe avvenuto nel 1647, in piena Guerra dei Trent’anni: una versione “realistica” che ribalta la fiaba trasformando la “strega” in una professionista uccisa e i due protagonisti in un duo di omicidi.Che cosa è stato accertatoQuella ricostruzione non è una scoperta archeologica, ma un esempio di “non‑fiction fittizia” messo in scena da un autore tedesco con fine ironia e grande perizia narrativa. Il presunto “professor Georg Ossegg” non è mai esistito; le immagini di scavo – divenute iconiche – ritraevano l’autore stesso travestito; parte dei “reperti” era di provenienza domestica; la ricetta attribuita alla vittima coincideva con un testo di largo consumo dell’epoca. A distanza di pochi mesi dalla pubblicazione, l’operazione fu svelata come una parodia della moda delle scoperte archeologiche “a effetto” e come un esperimento sui meccanismi con cui il pubblico tende ad attribuire autorità a un racconto che indossa gli abiti della ricerca.Perché l’idea continua a riemergereL’impianto funziona perché è calibrato sui nostri automatismi cognitivi: fotografie in bianco e nero di “scavi” e “documenti”, un lessico pseudo‑accademico, cronologie e toponimi precisi, collegamenti ingegnosi tra fiaba, linguistica e geografia. A questo si è aggiunta, nel tempo, la circolazione secondaria: nuove edizioni del volume, traduzioni (in Italia il titolo è apparso già nei primi anni Ottanta), un adattamento cinematografico negli anni Ottanta e riprese in programmi e podcast di divulgazione che la presentano esplicitamente come una burla esemplare. Dall’altro lato, piattaforme e pagine web periodicamente rilanciano la tesi come “vera storia dietro la fiaba”, spesso senza ricordare – o senza sapere – che si tratta di un falso letterario dichiarato tale dall’autore e documentato da verifiche indipendenti fin dal 1964.Cosa resta, davvero, della fiabaLe fiabe raccolte nell’Ottocento non sono cronache giudiziarie: sedimentano paure, memorie di carestie e processi alle streghe, traumi sociali e morali di un’Europa pre‑industriale. È legittimo studiarne il rapporto con la storia sociale; non è legittimo, però, attribuire loro un caso di omicidio “con nomi e cognomi” senza prove. Per Hansel e Gretel, al di fuori dell’operazione satirica del 1963, non esiste alcuna evidenza archivistica o materiale che dimostri l’esistenza di due fratelli assassini responsabili dell’uccisione di una pasticciera nel 1647.Il puntoNon c’è un “cold case” risolto da un archeologo tedesco: c’è la storia, ben documentata, di una burla editoriale che ha insegnato quanto un racconto confezionato con gli strumenti della scienza possa sembrare vero anche quando non lo è. Ed è per questo che, ancora oggi, la tesi riaffiora ciclicamente online: perché è verosimile, perché è affascinante e perché parla alla nostra voglia di trovare nel mito un fatto nudo e crudo. Ma i fatti, quelli controllabili, dicono altro.