El Comercio De La República - Ricostruzione 3D biodigestori

Lima -

Ricostruzione 3D biodigestori




Nel cuore dell’area archeologica del Foro di Nerva, la Torre dei Conti era da secoli una sentinella di pietra. Costruita verso l’858 da Pietro dei Conti di Anagni sui resti del Tempio della Pace e ampliata nel 1203 da papa Innocenzo III per la nobile famiglia dei Conti di Segni, la torre medievale raggiungeva originariamente una altezza di cinquanta‑sessanta metri. Rivestita di travertino e arricchita da decorazioni, fu più volte mutilata dai terremoti del XIV e XVII secolo e venne rinforzata dai pontefici con due possenti contrafforti. Nel Cinquecento perse il rivestimento lapideo, riutilizzato per la costruzione di Porta Pia, e all’inizio del XX secolo fu isolata dal tessuto urbano durante gli sventramenti per via Cavour e via dei Fori Imperiali. Con i suoi 29 metri attuali, è uno dei pochi esempi di case‑torri sopravvissuti nel centro storico. Per decenni, la torre ha ospitato archivi e uffici; dal 2006, dopo lo sgombero dei locali, rimaneva inagibile e priva di manutenzione.

Il progetto di restauro finanziato dal PNRR
Negli ultimi anni la Torre dei Conti era al centro di un importante intervento di recupero inserito nel programma “Caput Mundi” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il progetto, del valore di circa 6,9 milioni di euro, prevedeva la messa in sicurezza strutturale, la sostituzione degli impianti, l’installazione di un nuovo ascensore, la realizzazione di spazi museali, una sala conferenze e un centro servizi per l’area archeologica. Il primo lotto di lavori, del valore di circa 400 mila euro, avviato nel giugno 2023, comprendeva la bonifica dall’amianto e altre opere propedeutiche. Prima di aprire il cantiere erano state eseguite prove di carico, carotaggi e controlli statici che avevano giudicato la struttura idonea a sopportare l’intervento. L’intera opera avrebbe dovuto concludersi entro il 30 giugno 2026.

Il giorno del crollo e le fasi dell’emergenza
La mattina di lunedì 3 novembre 2025 si è consumata la tragedia. Intorno alle 11.20, mentre nove operai erano al lavoro nel cantiere, si è verificato un cedimento del contrafforte centrale sul lato sud della torre. Il crollo ha trascinato con sé parte del basamento, alcuni solai interni e la scala; la nuvola di polvere ha invaso largo Corrado Ricci. Quattro lavoratori sono riusciti a mettersi in salvo. Un secondo collasso, avvenuto verso le 13.00, ha complicato l’accesso ai soccorritori. Sul posto sono intervenuti più di cento vigili del fuoco con squadre Usar (Urban Search and Rescue), gru e dispositivi acustici per localizzare i dispersi. Uno dei pompieri ha riportato un’irritazione oculare a causa della polvere.

Il cantiere è stato evacuato e l’area circostante è stata transennata. I soccorritori hanno estratto vivi due operai con ferite lievi e un terzo, ferito gravemente, ricoverato all’ospedale San Giovanni. Octav Stroici, operaio romeno di 66 anni, era rimasto intrappolato sotto le macerie al primo piano. Per oltre undici ore vigili del fuoco, medici e volontari hanno lavorato per raggiungerlo, facendogli arrivare ossigeno e acqua attraverso un tubo e mantenendo il contatto vocale con lui. Quando finalmente è stato estratto, alle 22.39, la folla ha applaudito. Trasportato d’urgenza al Policlinico Umberto I, è deceduto poco dopo a causa delle gravi lesioni da schiacciamento. La moglie, presente durante le operazioni, è stata assistita dagli psicologi del Comune.

Indagini e possibili cause
La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio colposo e disastro colposo a carico di ignoti. Gli investigatori hanno sequestrato tutta la documentazione relativa agli appalti, al progetto esecutivo e alle verifiche statiche. Una consulenza tecnica di novanta giorni è stata affidata a un collegio di ingegneri strutturisti per accertare se i lavori in corso fossero adeguati a un edificio così antico. Per monitorare eventuali ulteriori movimenti della struttura è stato installato un laser scanner. Nel frattempo, i carabinieri hanno ascoltato i titolari delle imprese edili (Edilerica Appalti e Picalarga srl) e gli operai sopravvissuti.
I magistrati valuteranno anche se la scossa sismica di magnitudo 3,3 registrata nei Castelli Romani la sera del 1° novembre, le infiltrazioni d’acqua o la vegetazione penetrata nelle crepe possano aver indebolito la muratura. La Sovrintendenza Capitolina ha precisato che il cantiere non era stato affidato al massimo ribasso e che erano state coinvolte imprese specializzate nel restauro monumentale. Rimane aperta la questione dell’assemblaggio delle impalcature interne, dell’eventuale rimozione di travature provvisorie e di possibili errori di progettazione o di coordinamento della sicurezza.

A scopo precauzionale sono state evacuate alcune famiglie di un edificio confinante con la torre. L’area dei Fori Imperiali rimane sotto sequestro e presidiata dalle forze dell’ordine. Intanto, l’autopsia ha confermato che Octav Stroici è morto per traumi da compressione, mentre le autorità invitano chiunque abbia filmato i momenti del primo crollo a consegnare i video per ricostruire con precisione la dinamica.

Reazioni istituzionali e solidarietà
Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri si è recato sul posto già nelle prime ore dell’emergenza. Ha ringraziato pubblicamente vigili del fuoco, medici e volontari per l’impegno e ha sottolineato che la priorità era salvare la vita del lavoratore intrappolato. Il Campidoglio ha proclamato lutto cittadino per la giornata di mercoledì 5 novembre: le bandiere sugli edifici comunali sono state esposte a mezz’asta, sono state sospese le sedute del Consiglio regionale e rinviate alcune visite istituzionali. Anche il ministro della Cultura Alessandro Giuli ha parlato di una “tragedia che impone chiarezza e rigore” e ha garantito collaborazione totale alle indagini.

Il dramma ha suscitato dolore anche in Romania: l’ambasciatrice Gabriela Dancau ha deposto un mazzo di fiori sotto la torre in memoria di Stroici. Il Governo di Bucarest ha espresso cordoglio e ha annunciato il rimpatrio della salma. I funerali si svolgeranno nella sua città natale nella settimana successiva al crollo. A Roma, un’ondata di commozione ha unito istituzioni e cittadini: la sera del 4 novembre sindacati e associazioni hanno organizzato una fiaccolata silenziosa vicino al Colosseo. I partecipanti hanno marciato con croci bianche adornate da caschi da cantiere, chiedendo leggi più severe sulla sicurezza sul lavoro e l’applicazione rigorosa delle norme esistenti.

Prospettive future per la torre e la tutela del patrimonio
Il parziale crollo della Torre dei Conti ha riaperto il dibattito sulla fragilità dei monumenti di Roma e sulla sicurezza dei cantieri finanziati con fondi pubblici. La sovrintendenza conferma la volontà di salvare e restaurare la torre, ma ogni decisione dovrà attendere gli esiti delle perizie. Il progetto originario puntava a restituire alla città una struttura sicura e fruibile: un museo dedicato alla storia medievale dei Fori Imperiali, una sala studio e un belvedere sulla terrazza.

Il caso ha anche riportato l’attenzione sulla necessità di manutenzione ordinaria e monitoraggi periodici per i beni culturali, spesso trascurati fino a quando non emergono situazioni di emergenza. Molti esperti del settore ricordano che la tutela richiede investimenti programmati, personale qualificato e procedure rigorose, non soltanto finanziamenti straordinari. L’auspicio è che la tragedia spinga a un approccio più consapevole nella gestione del patrimonio: non scelte frettolose o demolizioni, bensì interventi rispettosi e scientificamente fondati, in grado di preservare la memoria storica e di garantire la sicurezza dei lavoratori.

La memoria di Octav Stroici
La morte di Octav Stroici ha scosso profondamente l’opinione pubblica. Nato a Suceava, in Romania, si era trasferito a Roma per lavorare nell’edilizia e avrebbe dovuto andare in pensione l’anno successivo. I colleghi della Fenealuil lo ricordano come un lavoratore esperto, attento ai corsi di aggiornamento sulla sicurezza e impegnato nel sindacato. I sindacati chiedono che la sua storia non venga dimenticata e propongono di dedicargli uno degli spazi del futuro centro culturale.

Nel frattempo, la città attende che giustizia faccia il suo corso. La Torre dei Conti continua a dominare i Fori Imperiali con la sua silhouette mutilata, monito della fragilità del nostro patrimonio e del prezzo pagato da chi lo custodisce. La speranza è che, dopo l’accertamento delle responsabilità, il monumento possa essere ricostruito, consolidato e riaperto al pubblico, trasformando il dolore in nuova consapevolezza e in un impegno più forte per la tutela dei luoghi della memoria.



In primo piano


Ivana: Dal buio del Fentanyl

«Il fentanyl era la risposta al mio disagio». È la frase con cui Ivana, oggi 28enne, sintetizza un passato di sofferenza e di dipendenza da oppioidi. La sua testimonianza, raccontata nel terzo episodio (EP.3) di una serie di interviste divulgative, è la cronaca di una caduta e di una risalita che parlano a molte famiglie italiane.Figlia di due medici, cresciuta tra Arezzo e le radici ugandesi trasmesse dalla nonna, Ivana descrive un’infanzia serena incrinata all’ingresso nell’adolescenza: isolamento, episodi di razzismo, la sensazione di non appartenere. Prima l’alcol, poi – durante il liceo – il salto ai farmaci presenti in casa: morfina e soprattutto fentanyl, un oppioide sintetico potentissimo. Non cercava “lo sballo”, dice, ma l’anestesia emotiva: spegnere dolore, ansia, inadeguatezza. La tolleranza è cresciuta, così come le crisi d’astinenza, fino a chiuderla per mesi in un appartamento, prigioniera di un consumo incessante.Nel tentativo di ricucire le ferite identitarie, i familiari la mandano per un periodo in Uganda. Lì, una rapina finita in tragedia – lo zio ucciso e lei stessa ferita – segna un’ulteriore frattura. Al ritorno in Italia, la dipendenza riprende il sopravvento. La svolta arriva grazie alla nonna: a 80 anni lascia tutto, la accompagna in una clinica di disintossicazione a Verona e poi in comunità. È in quel contesto che Ivana impara a raccontarsi, ad accettare la vulnerabilità e a costruire nuove abitudini.In comunità scopre la corsa. Non come gara, ma come ascolto di sé. Chilometro dopo chilometro, arriva a concludere la sua prima maratona a Verona. Nel frattempo riemerge un desiderio antico, cresciuto in una casa di camici e stetoscopi: studiare Medicina. Oggi Ivana è iscritta al secondo anno e vive a Firenze. Il suo messaggio ai coetanei è netto: chiedere aiuto funziona; la rete di cura e di prossimità – famiglia, comunità, professionisti – può salvare la vita.Il caso personale non va letto fuori contesto. Il fentanyl è un analgesico oppioide di potenza eccezionale (decine di volte superiore alla morfina) con effetti terapeutici imprescindibili in ambito clinico, ma capace – se usato fuori controllo medico – di indurre rapidamente dipendenza e di provocare overdose per depressione respiratoria. L’antidoto di riferimento, il naloxone, può invertire l’overdose se somministrato tempestivamente, ma l’elevata potenza degli analoghi impone formazione capillare e risposta rapida.L’Italia, pur non registrando i numeri degli Stati Uniti, ha alzato il livello di guardia. Nel 2024 è stato varato un Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di fentanyl e altri oppioidi sintetici, con azioni coordinate: monitoraggio dei mercati, allerta rapida, tracciamento delle prescrizioni anomale, formazione degli operatori sanitari e della rete di emergenza, sensibilizzazione dei servizi territoriali. Nello stesso anno, un campione di eroina venduta a Perugia è risultato contenere una quota di fentanyl: un episodio che ha fatto scattare procedure di allerta e rafforzato i controlli.Sul fronte europeo, nell’agosto 2025 sono entrate in vigore nuove misure sui precursori chimici utilizzati nelle sintesi illecite, con l’inclusione di due intermedi chiave tra le sostanze più rigidamente controllate. È un tassello cruciale: limitare a monte i mattoni chimici rende più difficile produrre fentanyl e analoghi destinati al mercato illegale.La storia di Ivana non è un’eccezione miracolistica, ma l’evidenza che prevenzione, cura e comunità funzionano. Tre i punti che emergono con forza:1) Riconoscere presto il disagio – ansia, isolamento e discriminazione sono fattori di rischio reali; ignorarli apre la strada all’automedicazione pericolosa.2) Abbattere lo stigma – chi chiede aiuto non è “debole”: è competente sul proprio benessere. Lo stigma ritarda l’accesso alle cure.3) Integrare le risposte – medicina delle dipendenze, psicoterapia, interventi sul contesto di vita e strumenti di riduzione del danno (incluso l’accesso al naloxone) devono coesistere.Nel suo EP.3, Ivana consegna una bussola a studenti, famiglie e decisori: dare parole al dolore, chiedere aiuto e pretenderlo, sostenere chi cura. È così che si spezza l’equazione tossica “disagio = oppioidi” e si restituisce alle persone la possibilità di futuro.

Che cosa sente il Corpo in RM?

Cosa succede al nostro corpo durante una risonanza magnetica? All’esterno la risonanza magnetica (RM) sembra silenziosa; all’interno, il nostro corpo entra in un ambiente fisico molto controllato in cui agiscono tre componenti: un campo magnetico statico potente, campi magnetici che variano rapidamente (gradienti) e onde radio (RF). È la combinazione di questi elementi a generare le immagini — e anche le sensazioni più comuni che i pazienti riferiscono.L’allineamento dei protoni: il “segreto” dell’immagineLe molecole d’acqua e di grasso del corpo contengono atomi di idrogeno. Il campo magnetico della RM orienta i loro protoni; brevi impulsi di radiofrequenza li spostano e, quando cessano, l’energia rilasciata viene “raccolta” dalle antenne del sistema e trasformata in immagini. Questo processo è impercettibile: non si sente l’azione del magnete né delle onde radio.Che cosa si percepisce davvero-  Rumore: durante l’esame si avvertono colpi ritmati, fischi o “battiti” rapidi. Non sono segno di guasto, ma l’effetto meccanico dei gradienti che vibrano. Le strutture forniscono sempre protezioni acustiche (tappi o cuffie); con questi dispositivi l’esposizione sonora rientra nei limiti di sicurezza previsti.-  Formicolii o piccoli “sussulti” muscolari: sono dovuti alla rapida variazione dei gradienti, che può stimolare in modo transitorio i nervi periferici. Di solito sono lievi e passeggeri; è sufficiente avvisare il tecnico se disturbano.-  Lieve sensazione di calore: l’energia RF può generare un modesto riscaldamento cutaneo o corporeo, tenuto sotto controllo dal sistema mediante limiti di potenza (SAR) e pause tra le sequenze.-  Capogiri o nausea, specialmente quando ci si muove dentro/fuori dal gantry: nei campi più elevati può comparire un transitorio senso di vertigine perché il magnete interagisce con l’apparato vestibolare dell’orecchio interno. In rari casi si osservano fosfeni (piccoli lampi di luce periferici), innocui e di breve durata.Durata e immobilitàIn base alla regione anatomica e al protocollo, un esame tipico dura circa 15–60 minuti. Restare immobili — e seguire eventuali istruzioni di respiro — evita immagini mosse e ripetizioni.Prima di entrare in salaÈ essenziale rimuovere tutti gli oggetti metallici o elettronici (gioielli, orologi, smartphone, carte magnetiche), indossare abiti senza inserti o filati metallici e, se è interessata la testa, evitare cosmetici con pigmenti metallici (mascara/eyeliner “glitter”). Mascherine, cerotti o sensori con parti metalliche vanno sostituiti con dispositivi compatibili.Impianti e dispositiviMolti impianti moderni (pacemaker, defibrillatori, neurostimolatori, pompe, protesi, stent) sono etichettati come MR Safe o MR Conditional. Oggi la RM è spesso possibile anche nei portatori di dispositivi cardiaci, purché in centri esperti e con protocolli dedicati (programmazione del dispositivo, monitoraggio e parametri di scansione specifici). È fondamentale dichiarare sempre qualsiasi impianto, vecchio o nuovo, e presentare il tesserino del dispositivo.Tatuaggi, trucco permanente e accessoriIn rari casi i tatuaggi o il trucco permanente possono dare sensazioni di calore, pizzicore o lieve bruciore nella zona tatuata, soprattutto se l’inchiostro contiene particelle conduttive. Si tratta quasi sempre di fenomeni transitori; informare preventivamente l’equipe aiuta a prevenire o gestire il disturbo.Contrasto al gadolinio: quando serve e quali effetti aspettarsiIl mezzo di contrasto a base di gadolinio si somministra solo se migliora la qualità diagnostica. Nella maggior parte dei pazienti gli effetti indesiderati sono rari e di solito lievi (per esempio nausea passeggera o alterazione del gusto). Da anni è noto che piccolissime quantità di gadolinio possono persistere nell’organismo: le autorità hanno perciò limitato l’uso di alcuni agenti “lineari”, privilegiando formulazioni macrocicliche, più stabili. Per le persone con grave insufficienza renale si valutano con attenzione indicazione e tipo di agente. In gravidanza l’impiego del contrasto si riserva solo ai casi in cui il beneficio superi chiaramente i rischi; durante l’allattamento, nella maggior parte delle situazioni non è necessario interrompere le poppate dopo la somministrazione.Gravidanza e bambiniLa RM senza contrasto è considerata l’esame di scelta quando occorre evitare radiazioni ionizzanti in gravidanza. Nei bambini, per alcune indagini, può servire sedazione leggera (per restare immobili), con monitoraggio anestesiologico e protocolli dedicati.Claustrofobia: come si affrontaTra l’1% e il 15% dei pazienti riferisce claustrofobia o ansia. Oltre a informazione e tecniche di respirazione, aiutano i sistemi wide‑bore (apertura fino a 70 cm), ambienti con musica/illuminazione dedicata, visori a specchio per “allargare” lo spazio percepito o, se necessario, una blanda sedazione. In selezionati casi si può ricorrere a piattaforme “open”, accettando i possibili compromessi di qualità e tempo.Rischi rari ma reali e perché lo screening è decisivoLe complicanze gravi sono rare. Le più frequenti, se le procedure non vengono seguite, sono ustioni cutanee (per contatto prolungato con la parete del tunnel, cavi/elettrodi che formano “anelli” o dispositivi non compatibili) e incidenti da effetto proiettile quando oggetti ferromagnetici entrano per errore in sala. Per questo lo screening è minuzioso e molte strutture adottano anche rilevatori ferromagnetici in ingresso. Collaborare con i professionisti — dichiarando impianti, ferite metalliche, tatuaggi e stati fisiologici — è la misura di sicurezza più importante.Consigli pratici, in breve• Portare documentazione di impianti o protesi;• Indossare abiti senza parti metalliche; niente cosmetici metallici se si studia la testa;• Segnalare tatuaggi e trucco permanente;• Avvisare se si è in gravidanza o si allatta;• Comunicare eventuale claustrofobia: esistono soluzioni dedicate;• Restare immobili, seguire le istruzioni di respiro e usare sempre la protezione auricolare.

3i/atlas: Una cometa Naturale

All’inizio di luglio 2025 un telescopio del sistema ATLAS (Asteroid Terrestrial‑impact Last Alert System) in Cile registrò un puntino sfocato che si muoveva più velocemente delle normali comete. Dopo un controllo delle immagini ottenute in precedenza – alcune risalenti al 14 giugno – gli astronomi compresero di avere di fronte il terzo oggetto interstellare mai osservato: la cometa 3I/ATLAS. La sigla “3I” indica che si tratta del terzo corpo proveniente da un altro sistema stellare, mentre il nome “ATLAS” rende omaggio alla rete di telescopi che l’ha individuato. A differenza dei corpi legati al Sistema solare, la sua orbita è fortemente iperbolica, cioè non chiusa: questo percorso aperto e la sua elevata velocità, già superiore a 137 000 miglia orarie al momento della scoperta, dimostrano che non tornerà mai più.Gli astronomi hanno seguito 3I/ATLAS con ogni strumento disponibile. Durante la sua rapida cavalcata verso il Sole, il nucleo ghiacciato della cometa – probabilmente grande da poche centinaia di metri a qualche chilometro – ha iniziato a rilasciare gas e polveri formando la chioma e la coda. La fotocamera ad alta risoluzione del Mars Reconnaissance Orbiter ha ripreso l’oggetto quando passava a circa 19 milioni di chilometri da Marte, mentre le sonde Lucy e Psyche, in viaggio verso gli asteroidi, l’hanno fotografato da altre angolazioni. Anche il rover Perseverance, le missioni MAVEN e PUNCH e i telescopi spaziali Hubble e James Webb hanno puntato i loro strumenti per catturare immagini e spettroscopie del visitatore. La raccolta di dati da diverse posizioni ha permesso di ricostruire la traiettoria e di studiare la composizione della chioma.Un corpo proveniente da lontano, non un’astronaveFin dalle prime notizie, 3I/ATLAS è diventata protagonista di indiscrezioni e ipotesi fantasiose. Il fatto che si trattasse di un oggetto interstellare e che nelle prime osservazioni mostrasse una chioma debole alimentò teorie sensazionalistiche secondo cui sarebbe potuto trattarsi di un veicolo artificiale. Un ricercatore noto per le sue speculazioni su precedenti visitatori interstellari elencò dodici “anomalie” della cometa, citando ad esempio l’allineamento quasi perfetto della sua traiettoria con il piano dell’eclittica, la presenza di getti rivolti verso il Sole (detti anticode) e la composizione chimica insolita. Lo stesso studioso sottolineò la massa molto più grande rispetto agli oggetti interstellari osservati in passato, la forte predominanza di nichel rispetto al ferro e il basso contenuto d’acqua, arrivando a ipotizzare che queste caratteristiche potessero essere compatibili con un manufatto di origine non naturale.La comunità scientifica, però, ha risposto con fermezza alle voci di un’astronave. I responsabili della missione hanno chiarito che la cometa si comporta come una cometa: possiede un nucleo solido che sublima quando si avvicina al Sole, sviluppando una chioma e una coda di gas e polveri. Le anticode e le code multiple osservate da molti astrofili sono fenomeni noti: la superficie di un nucleo in rotazione espelle particelle più grandi verso il Sole e queste, colpite dalla radiazione solare, vengono poi spinte all’indietro, creando la sensazione di una coda rivolta nella direzione sbagliata. Gli astronomi hanno misurato quantità elevate di anidride carbonica, insieme a acqua, monossido di carbonio e cianuro, e hanno rilevato anche vapori di nichel. Sebbene il rapporto nichel/ferro e la proporzione di acqua siano diversi rispetto a molte comete del Sistema solare, questi valori rientrano nella vasta gamma di composizioni possibili per un oggetto nato in un altro sistema stellare.Durante una conferenza stampa organizzata il 19 novembre 2025, i responsabili dell’ente spaziale statunitense hanno presentato le immagini più dettagliate finora ottenute e hanno affrontato apertamente le “voci” circolate nei mesi precedenti. Hanno sottolineato che non è stata rilevata alcuna traccia di tecnologia o segnali artificiali, né “tecnosegnature” che possano far pensare a una navicella. La cometa non mostra propulsione autonoma né strutture riconoscibili; tutti i fenomeni osservati – comprese le variazioni di luminosità e la presenza di più getti – possono essere spiegati con processi fisici di sublimazione del ghiaccio e con la rotazione irregolare del nucleo. La comunità astronomica ha quindi applicato il rasoio di Occam: tra l’ipotesi di un oggetto naturale e quella, molto più complicata, di un veicolo alieno, la spiegazione più semplice rimane la più probabile.Orbita, dimensioni e velocitàLa traiettoria di 3I/ATLAS è altamente inclinata e la sua velocità ne attesta l’origine remota. Gli astronomi hanno calcolato che il punto più vicino al Sole (perielio) è avvenuto il 30 ottobre 2025 a circa 1,4 unità astronomiche dal Sole (circa 210 milioni di chilometri). Poche settimane più tardi, il 19 dicembre, l’oggetto raggiunge il punto di massima vicinanza alla Terra, rimanendo comunque a circa 1,8 unità astronomiche (circa 270 milioni di chilometri), quindi più lontano della distanza media che separa il nostro pianeta dal Sole. Non c’è alcun rischio di impatto: dopo aver attraversato il piano delle orbite dei pianeti, la cometa proseguirà verso il sistema esterno e poi tornerà nello spazio interstellare, senza più tornare nei nostri cieli.Le osservazioni radar e i limiti imposti dalle immagini del telescopio Hubble suggeriscono che il nucleo ha un diametro compreso tra circa 440 metri e 5,6 chilometri. Un responsabile della missione ha spiegato che, se il nucleo fosse molto più grande, si vedrebbe un picco di luminosità al centro della chioma, cosa che non è stata osservata. La forma irregolare e la rotazione possono spiegare le variazioni di luminosità e l’apparente “multi‑coda”.Dal punto di vista cinetico, 3I/ATLAS è uno degli oggetti naturali più veloci mai misurati. Subito dopo la scoperta si muoveva a circa 220 000 chilometri all’ora; la velocità è aumentata mentre si avvicinava al Sole, raggiungendo quasi 246 000 chilometri all’ora al perielio. Questa rapidità rende difficile l’osservazione: per catturare immagini nitide le camere devono inseguire la cometa, causando l’allungamento delle stelle di sfondo nelle fotografie. Anche per questo motivo è stato indispensabile coordinare le osservazioni tra decine di strumenti su orbita, sui veicoli marziani e a Terra.Composizione e anomalie apparentiUna delle domande più interessanti per gli astronomi è cosa ci possa insegnare 3I/ATLAS sulla formazione di altri sistemi stellari. Le misure spettroscopiche hanno evidenziato che il gas rilasciato dalla cometa è ricco di anidride carbonica e contiene acqua, monossido di carbonio e cianuro. La quantità relativa di nichel rispetto al ferro è insolitamente elevata, mentre l’acqua rappresenta solo una piccola frazione del materiale sublimato. Questa composizione suggerisce che la cometa potrebbe essersi formata in una regione molto fredda del suo sistema d’origine, dove la CO₂ poteva congelare in abbondanza.Le cosiddette anomalie citate dai sostenitori dell’ipotesi artificiale trovano spiegazioni naturali. L’allineamento con il piano dell’eclittica rientra nelle possibilità statistiche: molti oggetti provenienti da altre stelle possono incrociare il nostro sistema in angoli variabili, ma le probabilità di un angolo piccolo non sono nulle. Le anticode osservate sono il risultato dell’espulsione di grani di polvere relativamente grandi, che vengono spinti via lentamente dalla pressione della radiazione solare; per un certo periodo questi grani appaiono come un getto rivolto verso il Sole. Le variazioni di luminosità e colore dipendono dall’attività della chioma: quando la cometa si avvicina al Sole, i getti aumentano di intensità e la chioma diventa più brillante e di colore più blu, effetto già osservato in altre comete.Gli astronomi hanno inoltre notato che 3I/ATLAS emette più carbonio che acqua rispetto alle comete del Sistema solare e che produce una quantità relativamente elevata di nichel. Questi dati sono “interessanti” e meritano ulteriori studi, ma non implicano in alcun modo l’esistenza di una tecnologia avanzata; al contrario, rappresentano un’opportunità per comprendere come i materiali nei dischi protoplanetari di altri sistemi si differenzino dal nostro.Un’opportunità scientificaAl di là delle fantasiose supposizioni, 3I/ATLAS offre agli astronomi una finestra unica sulla chimica di altri sistemi stellari. Studiando i gas e le polveri rilasciati dalla cometa, i ricercatori possono confrontare gli elementi e le molecole presenti con quelli delle comete del Sistema solare e testare i modelli di formazione planetaria. L’occasione di osservare un oggetto che nasce sotto un’altra stella e che passa per un breve periodo vicino ai nostri strumenti è estremamente rara; per questo quasi tutti i telescopi – dalle missioni su Marte a quelli in orbita attorno alla Terra – sono stati coinvolti nella campagna di osservazione.Gli scienziati sottolineano che non c’è alcun pericolo: la cometa rimarrà sempre distante e, dopo la metà di dicembre, diventerà nuovamente invisibile anche ai più potenti telescopi. Ciò che resterà sarà un patrimonio di dati che permetterà di comprendere meglio la diversità dei materiali nei sistemi planetari e di affinare le tecniche con cui in futuro si cercheranno tracce di vita altrove. In questo senso, 3I/ATLAS non è una navicella aliena ma un messaggero naturale che porta con sé indizi sull’evoluzione di mondi lontani e sulla nostra stessa curiosità di esplorare l’universo.