El Comercio De La República - Capaci: Ricostruzione 3d

Lima -

Capaci: Ricostruzione 3d




Una nuova ricostruzione 3D, pubblicata online il 9 settembre 2025, rimette in sequenza ogni passaggio della strage di Capaci, dall’arrivo del convoglio all’aeroporto di Punta Raisi fino alla detonazione delle cariche sotto l’A29 alle 17:58. Il modello digitale integra atti processuali, testimonianze e rilievi del sito, offrendo una vista sincronizzata dei tempi di innesco, delle velocità del convoglio e degli effetti d’onda dell’esplosione sul manto stradale e sui veicoli.

Dove e come fu collocato l’esplosivo
La scena chiave è il canale di scolo in cemento che attraversa trasversalmente l’autostrada: è qui che gli esecutori collocarono un carico compreso tra 300 e 500 kg, composto da tritolo, RDX e nitrato d’ammonio. L’ubicazione in un volume confinato e rigido elevò l’efficienza dell’onda d’urto verso l’alto, favorendo il “sollevamento” del piano viabile e la proiezione dei detriti.

L’innesco e i margini temporali
La ricostruzione mostra un sistema di innesco a radiocomando per modellismo collegato a detonatori elettrici. Dalla collinetta scelta come punto di osservazione—circa 900 metri in linea d’aria—gli attentatori dovevano compensare il ritardo tra impulso radio e accensione dei detonatori. Per calibrare quel ritardo eseguirono prove con una lampadina “flash” al posto dell’esplosivo, usando un oggetto fisso lungo la carreggiata come riferimento visivo. Il modello evidenzia la ristrettezza della finestra utile: assumendo una velocità attesa di 160 km/h (circa 44 m/s), ogni decimo di secondo equivale a oltre 4 metri percorsi; uno scarto di 2–3 decimi sposta già il bersaglio di 9–13 metri.

La sequenza dell’attacco
Il convoglio era composto da tre Fiat Croma blindate: apripista, auto con Giovanni Falcone e Francesca Morvillo al centro, e chiusura dietro. La 3D evidenzia che l’esplosione investì in pieno l’auto di apertura; la vettura con Falcone non fu colpita direttamente ma finì contro la barriera di detriti e asfalto improvvisamente sollevata. Secondo ricostruzioni basate su testimonianze, un rallentamento imprevisto della Croma centrale—provocato dallo sfilamento delle chiavi dal cruscotto pochi istanti prima—alterò la posizione relativa delle auto nel momento dell’innesco.

Geometria del cratere e dinamica dei danni
Le misure del cratere corrispondono a un’ellisse di circa 14,3 × 12,3 metri, con profondità massima prossima ai 4 metri in alcuni tratti. La modellazione 3D distribuisce le pressioni impulsive in verticale (spinta che “sfiocca” l’asfalto verso l’alto) e in orizzontale (proiezione di frammenti e risucchio), spiegando sia lo sradicamento dei guardrail sia la traiettoria differenziale dei veicoli, compresa l’eiezione dell’apripista.

Cosa aggiunge l’analisi 3D oggi - Rispetto alle ricostruzioni tradizionali, il 3D consente di:
- quantificare i margini d’errore compatibili con l’innesco manuale a distanza;
- visualizzare l’effetto “canale rigido” sull’amplificazione dell’onda d’urto;
- allineare tempi reali (distanze, velocità, ritardi di sistema) con gli esiti materiali (forma del cratere, traiettorie dei rottami, danneggiamenti differenziati);
- isolare le variabili comportamentali (come il rallentamento inatteso) dal puro effetto esplosivo.

Quadro giudiziario essenziale
Negli anni, sentenze definitive hanno fissato responsabilità e ruoli nell’esecuzione e nel supporto logistico alla strage, consolidando il perimetro fattuale entro cui si muovono oggi anche le ricostruzioni digitali. L’inquadramento probatorio—dalle metodiche d’innesco ai flussi dell’esplosivo—è il basamento su cui si innesta la nuova modellazione 3D, che non sostituisce gli atti ma li rende leggibili con strumenti contemporanei.



In primo piano


Sardegna: Vita da Minatori

Sotto le scogliere di Masua e tra i poggi del Sulcis-Iglesiente, la Sardegna custodisce ancora un cuore di roccia. Qui il lavoro “da minatore” non è scomparso: è cambiato pelle. Alle vecchie gallerie del carbone si affiancano cantieri di messa in sicurezza, bonifiche ambientali, siti museali e cave lapidee dove perforazioni, tagli e brillamenti scandiscono turni, procedure e allarmi. La scena quotidiana resta quella di elmetti, maschere antipolvere e sirene: crolli da prevenire, polveri da abbattere, esplosioni da programmare.Dopo il carbone: chiusure e riconversioniLa produzione di carbone nell’ultima miniera del Sulcis si è fermata a fine 2018. Da allora l’area vive una lunga fase di chiusura “assistita”: messa in sicurezza, ripristino dei siti, riconversione industriale. Nel 2025 la Regione ha imboccato la fase finale: tutele per i lavoratori rimasti e un percorso di rilancio che punta su ricerca, energie pulite e nuovi usi delle infrastrutture sotterranee. L’immagine del minatore, qui, oggi è spesso quella di chi ispeziona gallerie, mette centine, drena, monitora pareti e imbocchi per ridurre il rischio di cedimenti.Crolli evitati: sicurezza e cantieri in ex siti minerariDove la roccia “tira” e le volte sono fragili, il primo compito è impedire i crolli. Nei poli storici – Monteponi, Campo Pisano, Serbariu – la giornata di molti addetti scorre tra consolidamenti, recinzioni di gallerie dismesse, drenaggi e coperture provvisorie. È un lavoro silenzioso e tecnico, fatto di carotaggi, reti paramassi, chiodature e colate: la differenza tra un tunnel riaperto ai visitatori e un varco interdetto per rischio di collasso.Polvere: la linea rossa della saluteLa polvere resta il nemico invisibile. La storia mineraria sarda ha conosciuto la silicosi; oggi la prevenzione è routine: abbattimento polveri con acqua in perforazione e taglio, ventilazione forzata nelle cavità, DPI ad alta efficienza. Nei cantieri di bonifica e nelle cave, i protocolli obbligano a misurare, bagnare, aspirare. È anche una questione di cultura della sicurezza: checklist ad ogni cambio turno, presidi sanitari e formazione sulle esposizioni alla silice cristallina.Esplosioni controllate: il brillamento come mestiere“Esplosioni” in Sardegna significa soprattutto cava. Nelle litologie compatte si alternano filo diamantato, segatrici a catena e brillamenti programmati. Nulla è lasciato al caso: gli esplosivi omologati, i detonatori, i tempi di ritardo, l’evacuazione e le sirene sono regolati da norme stringenti. Il minatore di cava – spesso “artificiere” abilitato – prepara i fori, carica, sigilla, mette in sicurezza, segnala. Il boato dura secondi; il resto è controllo e ripristino.Numeri e lavoro: le cave del marmo di OroseiSul versante orientale, le cave del Marmo di Orosei sono tra i cantieri lapidei più rilevanti d’Italia. In vasche “a cielo aperto” si estraggono blocchi che alimentano segherie e laboratori in tutta Europa. È un lavoro fisico e specialistico: si manovrano fili diamantati, pale gommate da decine di tonnellate, carriponte, si orientano i tagli lungo i piani di stratificazione per ridurre fratture e scarti. La polvere calcarea imbianca tutto: per questo si nebulizza, si lava, si copre. E quando la roccia non concede, torna il brillamento, con finestre operative puntuali per ridurre vibrazioni e rischi.Incidenti che ricordano quanto sia sottile il margineSe procedure e tecnologia hanno alzato l’asticella della sicurezza, il rischio non scompare mai. Le cronache del 2025 hanno ricordato quanto una scala, un bordo cava, un ancoraggio possano trasformarsi in una caduta grave. È la ragione per cui nei piazzali si ridisegnano percorsi separati uomo-mezzo, si forzano imbragature anche per lavori “di pochi minuti”, si moltiplicano parapetti e linee vita.Bonifiche e memoria: Monteponi, Serbariu, Porto FlaviaAccanto ai cantieri, c’è la memoria viva. La Grande Miniera di Serbariu ha sospeso le visite nel 2024 per lavori di ristrutturazione; Monteponi continua interventi su discariche storiche e fronti instabili; gallerie e tratti ferroviari dismessi vengono riaperti o chiusi in base ai nuovi rilievi di sicurezza. Sul mare, Porto Flavia e la Laveria Lamarmora restano simboli mondiali di archeologia industriale: qui il paesaggio chiede protezione e coerenza con qualsiasi progetto contemporaneo.Il paesaggio del lavoro: camminare sulla storiaLa fatica dei minatori si può ancora “toccare” a piedi. Il Cammino Minerario di Santa Barbara è un anello di circa 500 chilometri in 30 tappe che unisce laverie, pozzi, villaggi e scogliere. È diventato un volano economico per B&B, rifugi, guide e trasportatori locali: un modo per trasformare trincee e gallerie in itinerari, senza rimuovere le ferite del territorio.Dal sottosuolo all’energia: idrogeno, gravità e datiIl futuro del lavoro “in miniera” potrebbe essere energetico: laboratori e progetti sull’idrogeno verde a Carbonia, prototipi di accumulo gravitazionale che usano pozzi e cavità come “batterie”, perfino data center energivori che appoggiano a connessioni e infrastrutture elettriche esistenti. È una riconversione che chiede competenze tecniche da minatori 4.0: cablaggi in sotterraneo, sensoristica, gestione del rischio, logistica ipogea.Tradizioni che resistono: Santa BarbaraIl 4 dicembre, tra Montevecchio, Iglesias e i paesi minerari, si celebra la patrona dei minatori e degli artificieri. È il giorno in cui i caschi sfilano accanto ai simulacri, le sirene tacciono e le storie di galleria si raccontano a cielo aperto. Un rito civile oltre che religioso: una comunità che si riconosce nel lavoro e nei suoi caduti.ConclusioneIn Sardegna il mestiere del minatore non è un reperto museale. È un lavoro che continua – diverso, più tecnico, più normato – nelle bonifiche, nelle cave, nei siti di archeologia industriale e nei progetti energetici. La triade che lo definisce resta la stessa: crolli da evitare, polvere da domare, esplosioni da governare. È in quell’equilibrio che si misura, giorno per giorno, la vita dei minatori di oggi.

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