El Comercio De La República - Cristalloterapia: verità o mito?

Lima -

Cristalloterapia: verità o mito?




La cristalloterapia è una pratica di medicina alternativa che utilizza cristalli e pietre per promuovere il benessere psico-fisico. I sostenitori affermano che i cristalli possiedono un'energia particolare, capace di interagire con il corpo umano per riportare equilibrio e armonia a livello fisico, emotivo e spirituale. Tuttavia, la comunità scientifica considera queste affermazioni prive di fondamento, sollevando dubbi sulla reale efficacia di questa pratica.

Cos'è la cristalloterapia?
Si tratta di un approccio olistico che prevede il posizionamento di cristalli su punti specifici del corpo, spesso associati ai cosiddetti chakra, o il loro utilizzo in meditazione e rituali. Le origini di questa pratica affondano nelle tradizioni di civiltà antiche, come gli Egizi e i Maya, che attribuivano alle pietre proprietà curative e spirituali. Oggi, la cristalloterapia è tornata in auge, soprattutto tra chi cerca soluzioni alternative per la salute e il benessere.

Come funziona secondo i sostenitori?
Chi pratica la cristalloterapia sostiene che ogni cristallo abbia proprietà uniche. Ad esempio, l’ametista viene associata al rilassamento e alla chiarezza mentale, mentre il quarzo rosa sarebbe legato all’amore e alla guarigione emotiva. Posizionando queste pietre sul corpo o utilizzandole in specifici rituali, si ritiene che sia possibile armonizzare l’energia interna e affrontare problemi come stress, ansia o squilibri emotivi.

Cosa dice la scienza?
Nonostante le testimonianze entusiastiche, la cristalloterapia non trova riscontro nella scienza moderna. Non esistono studi che dimostrino l’esistenza di un’energia specifica nei cristalli o la loro capacità di influire sul corpo umano. Ricerche condotte negli ultimi decenni hanno evidenziato che i benefici riportati potrebbero essere legati all’effetto placebo: la convinzione nel potere delle pietre potrebbe indurre un senso di benessere, senza che vi sia un’azione diretta dei cristalli. Inoltre, pratiche come la creazione di "elisir" immergendo minerali in acqua sollevano preoccupazioni, poiché alcune pietre possono rilasciare sostanze tossiche.

Popolarità e rischi
La cristalloterapia gode di una crescente popolarità, alimentata anche da celebrità e influencer che ne promuovono l’uso sui social media. Tuttavia, gli esperti avvertono che affidarsi a questa pratica per trattare condizioni mediche serie può essere rischioso, soprattutto se si trascurano terapie convenzionali. I benefici psicologici, come il rilassamento o la riduzione dello stress, sono reali per alcuni, ma non esclusivi dei cristalli: tecniche di meditazione o mindfulness possono offrire risultati simili senza i potenziali rischi.

Funziona davvero?
In definitiva, la cristalloterapia sembra essere più un’esperienza personale che una soluzione scientificamente valida. Può offrire conforto emotivo o un senso di connessione spirituale, ma non sostituisce cure mediche comprovate. Chi desidera provarla dovrebbe farlo con consapevolezza, considerandola un complemento e non una terapia primaria, e consultare sempre un medico per problemi di salute.



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Milionari senza Laurea?

In tempi di video motivazionali e storie virali, il messaggio è chiaro: “Non serve la laurea per diventare ricchi; guarda questi esempi”. È una narrazione seducente, ma rischia di farci cadere nel bias del sopravvissuto: vedere solo chi è arrivato al traguardo e ignorare la moltitudine che si è fermata prima. Quando applichiamo questo filtro alla ricchezza — in particolare al mito dei “milionari senza laurea” — travisiamo i dati, prendiamo decisioni sbagliate e diamo consigli pericolosamente parziali a studenti, famiglie e imprenditori.Che cos’è il bias del sopravvissuto (e perché ci inganna)Il bias del sopravvissuto è un errore logico-statistico: concentriamo l’attenzione su chi è “sopravvissuto” a un percorso (aziende di successo, personaggi celebri, investitori vincenti), trascurando chi ha fallito o si è fermato. Il risultato è un’immagine distorta della realtà, dove le probabilità reali di successo sembrano più alte di quanto siano. È il motivo per cui i racconti di poche star diventano regola implicita, mentre il silenzio dei molti che non ce l’hanno fatta non entra mai nel quadro.Ricchezza e istruzione: cosa dicono i dati, non gli aneddoti - Il mito dei dropout miliardari nasce da una manciata di storie eccezionali. Ma le analisi su campioni ampi mostrano altro:La larga maggioranza dei miliardari e dei milionari ha un titolo universitario. Studi su elenchi dei più ricchi e indagini su migliaia di milionari indicano quote ampie di laureati, con una fetta non trascurabile persino con titoli post-laurea. In altre parole: i casi famosi senza laurea sono eccezioni, non la regola.Nel complesso del mercato del lavoro, l’istruzione paga: a livelli di studio più alti corrispondono, in media, salari maggiori e tassi di disoccupazione più bassi. Questo non garantisce né ricchezza né successo, ma sposta le probabilità nella direzione giusta. Tradotto: non serve una laurea per ogni carriera possibile, ma i numeri smentiscono l’idea che “laurearsi non conti”.Tre spinte lo alimentano:-  Selezione delle storie: i media e i social amplificano i percorsi fuori norma; la normalità (anni di studio e lavoro) è poco “condivisibile”.-  Conferma delle convinzioni: se vogliamo credere che “basta la grinta”, cerchiamo e ricordiamo solo esempi che lo confermano.-  Invisibilità dei falliti: chi non arriva non racconta; chi arriva racconta molto. La platea vede solo i vincenti.-  Il risultato è una bussola che punta sempre verso “modelli” scintillanti, anche quando sono irripetibili.Impresa e fallimenti: il lato nascosto della curvaUn’altra zona d’ombra del bias del sopravvissuto riguarda l’imprenditoria. Le statistiche internazionali mostrano che molte nuove imprese non superano i primi anni, e la maggioranza delle startup non arriva alla scala promessa dai pitch. Questo non significa che “non convenga provarci”, ma che i modelli costruiti solo su unicorni e storie heroiche sovrastimano la probabilità di riuscita e sottovalutano capitale, competenze e tempi necessari.Decisioni concrete: come evitare gli errori più comuni-  Separare eccezioni e tendenze: ispirarsi alle storie fuori norma è lecito; pianificare su quella base è rischioso.-  Guardare alle distribuzioni, non ai casi singoli: stipendi mediani, tassi di occupazione, probabilità di sopravvivenza delle imprese sono bussola migliore dei racconti virali.-  Valutare i percorsi alternativi con dati alla mano: formazione tecnica, apprendistati e certificazioni possono offrire ritorni solidi; la scelta dovrebbe dipendere da settore, domanda e competenze richieste, non da slogan.-  Misurare i costi opportunità: rinunciare a un titolo può far entrare prima nel mercato, ma può ridurre margini di mobilità e resilienza nelle crisi.-  Dare visibilità ai “non sopravvissuti”: quando si analizza un settore (o si fa orientamento), includere sistematicamente i progetti falliti e i motivi del fallimento.Giovani e famiglie: cosa chiedersi prima di “saltare” l’università-  Qual è il profilo occupazionale del settore? Titoli richiesti, retribuzioni tipiche, carenze di competenze.-  Qual è la via più efficiente al primo impiego qualificato? Laurea breve? ITS/IFTS? Apprendistato? Certificazioni?-  Che rete ho? Molti esempi “senza laurea” erano sostenuti da reti, capitale iniziale o contesti unici, difficili da replicare.-  Come mitigo il rischio? Stage, lavori part-time qualificati, corsi mirati e portafogli di progetti possono ridurre l’incertezza sia scegliendo l’università sia optando per percorsi alternativi.Il punto di equilibrioLa laurea non è un feticcio; è uno strumento che, in media, aumenta opportunità e resilienza. Esistono percorsi vincenti senza università, ma sono meno probabili di quanto suggerisca l’eco mediatica. Il compito di scuole, famiglie, imprese e media è ristabilire la proporzione: smitizzare i pochi “sopravvissuti”, restituire visibilità alla base larga della distribuzione e aiutare ciascuno a scegliere sulla base di dati, non di slogan.  

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