El Comercio De La República - Chi misura gli ascolti tv?

Lima -

Chi misura gli ascolti tv?




In Italia la misurazione ufficiale degli ascolti televisivi è svolta ogni giorno, 24 ore su 24, con un sistema “a valuta” che fornisce il riferimento condiviso da editori e investitori pubblicitari. Il cuore del sistema è un panel statistico che rappresenta l’intera popolazione (4+ anni) e che permette di stimare minuto per minuto quante persone stanno guardando un programma o un canale. 

Il SuperPanel: come nasce e com’è fatto
Il panel – chiamato SuperPanel – è composto da 16.100 famiglie selezionate in modo anonimo e casuale a partire da una grande “Ricerca di Base” che aggiorna costantemente la fotografia socio-demografica del Paese. La rappresentatività è garantita da celle di reclutamento (area geografica, ampiezza del comune, struttura familiare, dotazioni tv) e da pesature iterative distinte per famiglie e individui. In media oltre 15 mila famiglie producono dati validati ogni giorno. 

Il SuperPanel somma due componenti:
People Meter (PM): famiglie dotate di un telecomando dedicato; ogni individuo che guarda la tv preme il proprio tasto per dichiarare la presenza (gli ospiti hanno tasti dedicati). L’ascoltatore è considerato presente se guarda almeno 30 secondi del minuto rilevato. 
agcom.it
Set Meter (SM): famiglie in cui il dispositivo rileva automaticamente il canale sintonizzato sul tv; i dati individuali sono ricavati con procedure statistiche d’integrazione. 

In entrambe le tipologie, la rilevazione è minuto per minuto su tutti i televisori e dispositivi collegati presenti in casa. Complessivamente sono operativi oltre 30 mila meter e vengono tracciate le scelte di circa 41 mila individui. 

Cosa fa, in pratica, la famiglia del panel
Quando si accende la tv, i componenti presenti indicano la propria presenza premendo il tasto personale; il meter, a intervalli, chiede conferma (“Stesse persone?”). Le istruzioni prevedono pulsanti specifici anche per i bambini e per gli ospiti. 

Dal solo televisore a “tutti gli schermi”
Oltre alla tv tradizionale su digitale terrestre e satellite, la misurazione copre anche la fruizione non lineare (VOSDAL e Time-Shifted Viewing fino a +4 giorni per la pubblicità e fino a +7 per le analisi editoriali). 

Dal 16 dicembre 2018 è stata aggiunta una misurazione “censuaria” dei device digitali (smart tv connessi, PC, smartphone, tablet, console), basata su SDK installati nei player dei broadcaster e su Focal Meter per attribuire in modo affidabile gli stream effettivamente visti, anche fuori casa. Questa componente non sostituisce il panel ma lo integra. 

“Total Audience”: l’integrazione delle fonti
Tra fine dicembre 2024 e il 2025 è stato avviato il rilascio quotidiano della Total Audience, cioè l’integrazione – con deduplica – delle visualizzazioni su tv tradizionale e su device digitali per lo stesso contenuto. L’obiettivo è offrire metriche univoche e comparabili tra piattaforme, riducendo sovrastime e doppioni. 

Quando escono i numeri
I dati campionari (tv tradizionale) vengono pubblicati ogni mattina poco prima delle 10:00; i dati digitali censuari sono disponibili nel pomeriggio (ore 18:00 tramite i software accreditati). In totale sono coperti centinaia di canali sulla tv lineare e l’intera offerta via IP dei soggetti aderenti. 

Gli indicatori che leggete nelle notizie
Ascolto Medio (AMR): numero medio di spettatori presenti in ciascun minuto dell’intervallo considerato.
Share (SH): quota percentuale dell’ascolto di un canale sul totale dei telespettatori in quel momento.
Contatti Netti (Copertura): persone che hanno visto almeno 1 minuto del contenuto, contate una sola volta.
Permanenza e Minuti Visti: misurano fedeltà e intensità di visione. 

Qualità, controlli e privacy
La filiera è tracciabile e auditabile: algoritmi e protocolli sono depositati e riproducibili da terze parti; l’attività è vigilata dalle autorità competenti (comunicazioni, concorrenza, protezione dati). La parte digitale applica filtri anti-invalid traffic e di brand safety e rispetta gli standard europei di privacy. 

Limiti e cautele d’uso
Come tutti i sistemi panel-based, la precisione dipende dalla qualità del reclutamento, dall’aggiornamento delle pesature e dall’aderenza dichiarativa nelle famiglie PM (premere il tasto). L’integrazione con i big data digitali riduce molte criticità ma richiede deduplica e calibrazione dei flussi rispetto al panel per mantenere coerenza statistica. Per questo la Total Audience nasce come integrazione controllata delle due fonti, non come semplice somma.



In primo piano


Milionari senza Laurea?

In tempi di video motivazionali e storie virali, il messaggio è chiaro: “Non serve la laurea per diventare ricchi; guarda questi esempi”. È una narrazione seducente, ma rischia di farci cadere nel bias del sopravvissuto: vedere solo chi è arrivato al traguardo e ignorare la moltitudine che si è fermata prima. Quando applichiamo questo filtro alla ricchezza — in particolare al mito dei “milionari senza laurea” — travisiamo i dati, prendiamo decisioni sbagliate e diamo consigli pericolosamente parziali a studenti, famiglie e imprenditori.Che cos’è il bias del sopravvissuto (e perché ci inganna)Il bias del sopravvissuto è un errore logico-statistico: concentriamo l’attenzione su chi è “sopravvissuto” a un percorso (aziende di successo, personaggi celebri, investitori vincenti), trascurando chi ha fallito o si è fermato. Il risultato è un’immagine distorta della realtà, dove le probabilità reali di successo sembrano più alte di quanto siano. È il motivo per cui i racconti di poche star diventano regola implicita, mentre il silenzio dei molti che non ce l’hanno fatta non entra mai nel quadro.Ricchezza e istruzione: cosa dicono i dati, non gli aneddoti - Il mito dei dropout miliardari nasce da una manciata di storie eccezionali. Ma le analisi su campioni ampi mostrano altro:La larga maggioranza dei miliardari e dei milionari ha un titolo universitario. Studi su elenchi dei più ricchi e indagini su migliaia di milionari indicano quote ampie di laureati, con una fetta non trascurabile persino con titoli post-laurea. In altre parole: i casi famosi senza laurea sono eccezioni, non la regola.Nel complesso del mercato del lavoro, l’istruzione paga: a livelli di studio più alti corrispondono, in media, salari maggiori e tassi di disoccupazione più bassi. Questo non garantisce né ricchezza né successo, ma sposta le probabilità nella direzione giusta. Tradotto: non serve una laurea per ogni carriera possibile, ma i numeri smentiscono l’idea che “laurearsi non conti”.Tre spinte lo alimentano:-  Selezione delle storie: i media e i social amplificano i percorsi fuori norma; la normalità (anni di studio e lavoro) è poco “condivisibile”.-  Conferma delle convinzioni: se vogliamo credere che “basta la grinta”, cerchiamo e ricordiamo solo esempi che lo confermano.-  Invisibilità dei falliti: chi non arriva non racconta; chi arriva racconta molto. La platea vede solo i vincenti.-  Il risultato è una bussola che punta sempre verso “modelli” scintillanti, anche quando sono irripetibili.Impresa e fallimenti: il lato nascosto della curvaUn’altra zona d’ombra del bias del sopravvissuto riguarda l’imprenditoria. Le statistiche internazionali mostrano che molte nuove imprese non superano i primi anni, e la maggioranza delle startup non arriva alla scala promessa dai pitch. Questo non significa che “non convenga provarci”, ma che i modelli costruiti solo su unicorni e storie heroiche sovrastimano la probabilità di riuscita e sottovalutano capitale, competenze e tempi necessari.Decisioni concrete: come evitare gli errori più comuni-  Separare eccezioni e tendenze: ispirarsi alle storie fuori norma è lecito; pianificare su quella base è rischioso.-  Guardare alle distribuzioni, non ai casi singoli: stipendi mediani, tassi di occupazione, probabilità di sopravvivenza delle imprese sono bussola migliore dei racconti virali.-  Valutare i percorsi alternativi con dati alla mano: formazione tecnica, apprendistati e certificazioni possono offrire ritorni solidi; la scelta dovrebbe dipendere da settore, domanda e competenze richieste, non da slogan.-  Misurare i costi opportunità: rinunciare a un titolo può far entrare prima nel mercato, ma può ridurre margini di mobilità e resilienza nelle crisi.-  Dare visibilità ai “non sopravvissuti”: quando si analizza un settore (o si fa orientamento), includere sistematicamente i progetti falliti e i motivi del fallimento.Giovani e famiglie: cosa chiedersi prima di “saltare” l’università-  Qual è il profilo occupazionale del settore? Titoli richiesti, retribuzioni tipiche, carenze di competenze.-  Qual è la via più efficiente al primo impiego qualificato? Laurea breve? ITS/IFTS? Apprendistato? Certificazioni?-  Che rete ho? Molti esempi “senza laurea” erano sostenuti da reti, capitale iniziale o contesti unici, difficili da replicare.-  Come mitigo il rischio? Stage, lavori part-time qualificati, corsi mirati e portafogli di progetti possono ridurre l’incertezza sia scegliendo l’università sia optando per percorsi alternativi.Il punto di equilibrioLa laurea non è un feticcio; è uno strumento che, in media, aumenta opportunità e resilienza. Esistono percorsi vincenti senza università, ma sono meno probabili di quanto suggerisca l’eco mediatica. Il compito di scuole, famiglie, imprese e media è ristabilire la proporzione: smitizzare i pochi “sopravvissuti”, restituire visibilità alla base larga della distribuzione e aiutare ciascuno a scegliere sulla base di dati, non di slogan.  

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