El Comercio De La República - Protezione per i cittadini extra UE nell'UE?

Lima -

Protezione per i cittadini extra UE nell'UE?




Inte sti ultimi anni, l’Unión Européa à instituîo dei programmi de proteçión temporànnea pe aiutâ a gentte ch’ascappa da conflitti o situassion drammàtiche inte i so paesi d’orígine. Ma quanti sun in realtà sti çittadini extracomunitâri chì, che se trôvan a beneficia de ‘sta forma de tutela? E cöse che porta a questa misura?

Secóndo i dæti fornîi da diverse agénçie internazionâli, i numeri di sto fenomeno én in cressita constante. Parleraime de çifre che van da qualche centinaio de mìgiaia fin a più de un millón de persone segondo a stagion o a gravità di conflitti in corso. Sta proteçión l’è pensâ pa dà un po’ de respiro e de dignità a chi se trôva improvvisamente sènsa tetto, sènsa travaggio e in cerc’ea de ‘n rifùgio sicûo.

Come funçiónna a proteçión temporànnea:
A proteçión temporànnea inte l’UE permette a sti çittadini extracomunitâri, sfuggîi da situassion d’emergénsa, de:

Ottenî documenti de soggiorno a scadénsa fissa
Avè aseguo a asçistenza sanitaria e sociale
Câxâ avantî col cercâ travaggio o a restâ in contatto co-i familiari

Pe quanto ch’i ghe vegni assegnòu st’òrden de proteçión, dipende da e leggi nazional e da e direttive europee: in género se va da qualche mèise fin a un ànno, con possibili proroghe segondo a gravità d’a crísi originâria.

Problème de coordinamento:
No tûtte e nazion de l’UE sun disposte a spartî in manêra equa e responsabilità d’accoglienza. Paesi in prima lìnea, cumme l’Italia o a Grecia, se trôvan spesso a gestî flussi consisténti de persone in breve témpo, metténdo a pressión e strutture d’asçistenza e i sistemi administratîvi. Intanto, altri paesi no sempre sun pronti ad acettâ ‘na quota significatíva de réfugiati.

E conseguénse pe l’Unión Européa:
Se ‘sto sistema de proteçión temporànnea no vegne gestîo in manêra coordinnâ, e conseguénse posciûan èsse grave:

Rischio de sovraccarico de alcune region onde ghe sun rivî continui
Tension politiche tra i membri de l’UE su cöse e chi deve acollî e persone
Difficoltà d’integrazión pe chi ascappa da guäe e se trôva sperdûo inte un paese sconosciûo

Na sfida che no peu finî presto:
Mentree i conflitti internazionâli e i disastri ambientâli continûan a acesse de nuovi rifugiâ, l’UE se vê davanti a ‘n compito delicôu: dà proteçión immediata a chi l’ha persso tutto, e intanto costruiî ‘na strategia a longa scadénsa pa integrâ sta gentte inte a comunità europea.

La dumánda de fondo resta: quanti extracomunitâri sun effettivamente al momentu inte l’UE sota proteçión temporànnea? E a rispósta a se cambia con frequénsa, segondo l’andamento di conflitti, l’instabilità politica e a capacità de e istituzión europee de coordinâ ‘n sistema d’accoglienza effiçiente. Una çertezza, comunque, a resta: fin che l’UE no troverà ‘n equilibriu tra solidarietà, norme condivise e rapidità d’interventu, a gestione di sti flussi umanitâri rischierà de èsse una sfida contìnua pe l’Europa de domàn.



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Milionari senza Laurea?

In tempi di video motivazionali e storie virali, il messaggio è chiaro: “Non serve la laurea per diventare ricchi; guarda questi esempi”. È una narrazione seducente, ma rischia di farci cadere nel bias del sopravvissuto: vedere solo chi è arrivato al traguardo e ignorare la moltitudine che si è fermata prima. Quando applichiamo questo filtro alla ricchezza — in particolare al mito dei “milionari senza laurea” — travisiamo i dati, prendiamo decisioni sbagliate e diamo consigli pericolosamente parziali a studenti, famiglie e imprenditori.Che cos’è il bias del sopravvissuto (e perché ci inganna)Il bias del sopravvissuto è un errore logico-statistico: concentriamo l’attenzione su chi è “sopravvissuto” a un percorso (aziende di successo, personaggi celebri, investitori vincenti), trascurando chi ha fallito o si è fermato. Il risultato è un’immagine distorta della realtà, dove le probabilità reali di successo sembrano più alte di quanto siano. È il motivo per cui i racconti di poche star diventano regola implicita, mentre il silenzio dei molti che non ce l’hanno fatta non entra mai nel quadro.Ricchezza e istruzione: cosa dicono i dati, non gli aneddoti - Il mito dei dropout miliardari nasce da una manciata di storie eccezionali. Ma le analisi su campioni ampi mostrano altro:La larga maggioranza dei miliardari e dei milionari ha un titolo universitario. Studi su elenchi dei più ricchi e indagini su migliaia di milionari indicano quote ampie di laureati, con una fetta non trascurabile persino con titoli post-laurea. In altre parole: i casi famosi senza laurea sono eccezioni, non la regola.Nel complesso del mercato del lavoro, l’istruzione paga: a livelli di studio più alti corrispondono, in media, salari maggiori e tassi di disoccupazione più bassi. Questo non garantisce né ricchezza né successo, ma sposta le probabilità nella direzione giusta. Tradotto: non serve una laurea per ogni carriera possibile, ma i numeri smentiscono l’idea che “laurearsi non conti”.Tre spinte lo alimentano:-  Selezione delle storie: i media e i social amplificano i percorsi fuori norma; la normalità (anni di studio e lavoro) è poco “condivisibile”.-  Conferma delle convinzioni: se vogliamo credere che “basta la grinta”, cerchiamo e ricordiamo solo esempi che lo confermano.-  Invisibilità dei falliti: chi non arriva non racconta; chi arriva racconta molto. La platea vede solo i vincenti.-  Il risultato è una bussola che punta sempre verso “modelli” scintillanti, anche quando sono irripetibili.Impresa e fallimenti: il lato nascosto della curvaUn’altra zona d’ombra del bias del sopravvissuto riguarda l’imprenditoria. Le statistiche internazionali mostrano che molte nuove imprese non superano i primi anni, e la maggioranza delle startup non arriva alla scala promessa dai pitch. Questo non significa che “non convenga provarci”, ma che i modelli costruiti solo su unicorni e storie heroiche sovrastimano la probabilità di riuscita e sottovalutano capitale, competenze e tempi necessari.Decisioni concrete: come evitare gli errori più comuni-  Separare eccezioni e tendenze: ispirarsi alle storie fuori norma è lecito; pianificare su quella base è rischioso.-  Guardare alle distribuzioni, non ai casi singoli: stipendi mediani, tassi di occupazione, probabilità di sopravvivenza delle imprese sono bussola migliore dei racconti virali.-  Valutare i percorsi alternativi con dati alla mano: formazione tecnica, apprendistati e certificazioni possono offrire ritorni solidi; la scelta dovrebbe dipendere da settore, domanda e competenze richieste, non da slogan.-  Misurare i costi opportunità: rinunciare a un titolo può far entrare prima nel mercato, ma può ridurre margini di mobilità e resilienza nelle crisi.-  Dare visibilità ai “non sopravvissuti”: quando si analizza un settore (o si fa orientamento), includere sistematicamente i progetti falliti e i motivi del fallimento.Giovani e famiglie: cosa chiedersi prima di “saltare” l’università-  Qual è il profilo occupazionale del settore? Titoli richiesti, retribuzioni tipiche, carenze di competenze.-  Qual è la via più efficiente al primo impiego qualificato? Laurea breve? ITS/IFTS? Apprendistato? Certificazioni?-  Che rete ho? Molti esempi “senza laurea” erano sostenuti da reti, capitale iniziale o contesti unici, difficili da replicare.-  Come mitigo il rischio? Stage, lavori part-time qualificati, corsi mirati e portafogli di progetti possono ridurre l’incertezza sia scegliendo l’università sia optando per percorsi alternativi.Il punto di equilibrioLa laurea non è un feticcio; è uno strumento che, in media, aumenta opportunità e resilienza. Esistono percorsi vincenti senza università, ma sono meno probabili di quanto suggerisca l’eco mediatica. Il compito di scuole, famiglie, imprese e media è ristabilire la proporzione: smitizzare i pochi “sopravvissuti”, restituire visibilità alla base larga della distribuzione e aiutare ciascuno a scegliere sulla base di dati, non di slogan.  

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