El Comercio De La República - UE: Troppe chat ed email?

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UE: Troppe chat ed email?




Secondo Eurostat, la comunicazione, sia online che di persona, occupa almeno metà della giornata lavorativa di milioni di lavoratori dell'UE.

In un mondo sempre più interconnesso, gli europei si trovano quotidianamente bombardati da innumerevoli notifiche via e-mail e chat di gruppo. Questo sovraccarico di messaggi sembra aver raggiunto un punto critico, portando a lamentarsi di stress digitale, mancanza di concentrazione ed esaurimento mentale.

L'ascesa della comunicazione digitale
L'avvento delle applicazioni di messaggistica e della comunicazione istantanea offriva un tempo soluzioni agili per il lavoro e la vita quotidiana. Tuttavia, studi recenti dimostrano che la maggior parte degli europei controlla il cellulare o la casella di posta elettronica almeno una volta ogni dieci minuti durante l'orario di lavoro. Queste continue interruzioni sono diventate uno dei maggiori ostacoli alla produttività.

Eccesso di chat di gruppo:
Molte persone fanno parte di più gruppi di messaggistica, dai colleghi di lavoro alle famiglie allargate, rendendo difficile la disconnessione al di fuori dell'orario di lavoro.

Flusso infinito di e-mail:
Nonostante la proliferazione degli strumenti di collaborazione, la posta elettronica rimane il mezzo principale di comunicazione professionale, con conseguente sovraccarico delle caselle di posta.

Effetti sulla salute e sulla produttività: secondo un rapporto dell'Istituto europeo per il benessere sul posto di lavoro, circa il 65% dei lavoratori riferisce di sentirsi più ansioso quando vede decine di notifiche da leggere.

Queste continue distrazioni possono portare a - Stress mentale:
La sensazione di non essere in grado di rispondere a tutti i messaggi in modo tempestivo.

Mancanza di concentrazione:
Il continuo passaggio da un'attività all'altra porta a prestazioni inferiori sul lavoro o nello studio.

Problemi di sonno:
Controllare il cellulare prima di andare a dormire e al risveglio influisce sui cicli del sonno.

Proposte e soluzioni - Di fronte alla crescente preoccupazione, le aziende e i governi europei stanno elaborando regole e raccomandazioni per incoraggiare una comunicazione digitale più sana:

Orari di invio limitati:
Alcune organizzazioni vietano l'invio di e-mail al di fuori dell'orario di lavoro, a meno che non sia urgente.

Formazione sulla gestione del tempo:
Molte aziende offrono corsi su come dare priorità ai messaggi e stabilire limiti di attenzione. App di disconnessione: strumenti che aiutano a silenziare le notifiche e incoraggiano pause digitali regolari.

Inoltre, in Paesi come la Francia e la Germania, sono state discusse leggi per proteggere il “diritto alla disconnessione”, stabilendo parametri chiari per la disponibilità dei dipendenti al di fuori dell'orario di lavoro.

Un sovraccarico inevitabile?
Mentre la trasformazione digitale continua ad ampliare le opzioni di comunicazione, secondo gli esperti la vera sfida sta nell'imparare a usare questi strumenti con saggezza. Ridurre il numero di chat di gruppo, disattivare le notifiche non essenziali e incoraggiare l'organizzazione nei team di lavoro potrebbero essere passi fondamentali per ridurre lo stress e migliorare la qualità della vita di milioni di europei.

Sebbene la tecnologia non mostri segni di rallentamento, sempre più persone in Europa cercano soluzioni per sfuggire all'incessante ronzio dei messaggi digitali. La domanda è se le misure proposte riusciranno a bilanciare i benefici della connettività con la necessità di fissare dei limiti salutari.



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Milionari senza Laurea?

In tempi di video motivazionali e storie virali, il messaggio è chiaro: “Non serve la laurea per diventare ricchi; guarda questi esempi”. È una narrazione seducente, ma rischia di farci cadere nel bias del sopravvissuto: vedere solo chi è arrivato al traguardo e ignorare la moltitudine che si è fermata prima. Quando applichiamo questo filtro alla ricchezza — in particolare al mito dei “milionari senza laurea” — travisiamo i dati, prendiamo decisioni sbagliate e diamo consigli pericolosamente parziali a studenti, famiglie e imprenditori.Che cos’è il bias del sopravvissuto (e perché ci inganna)Il bias del sopravvissuto è un errore logico-statistico: concentriamo l’attenzione su chi è “sopravvissuto” a un percorso (aziende di successo, personaggi celebri, investitori vincenti), trascurando chi ha fallito o si è fermato. Il risultato è un’immagine distorta della realtà, dove le probabilità reali di successo sembrano più alte di quanto siano. È il motivo per cui i racconti di poche star diventano regola implicita, mentre il silenzio dei molti che non ce l’hanno fatta non entra mai nel quadro.Ricchezza e istruzione: cosa dicono i dati, non gli aneddoti - Il mito dei dropout miliardari nasce da una manciata di storie eccezionali. Ma le analisi su campioni ampi mostrano altro:La larga maggioranza dei miliardari e dei milionari ha un titolo universitario. Studi su elenchi dei più ricchi e indagini su migliaia di milionari indicano quote ampie di laureati, con una fetta non trascurabile persino con titoli post-laurea. In altre parole: i casi famosi senza laurea sono eccezioni, non la regola.Nel complesso del mercato del lavoro, l’istruzione paga: a livelli di studio più alti corrispondono, in media, salari maggiori e tassi di disoccupazione più bassi. Questo non garantisce né ricchezza né successo, ma sposta le probabilità nella direzione giusta. Tradotto: non serve una laurea per ogni carriera possibile, ma i numeri smentiscono l’idea che “laurearsi non conti”.Tre spinte lo alimentano:-  Selezione delle storie: i media e i social amplificano i percorsi fuori norma; la normalità (anni di studio e lavoro) è poco “condivisibile”.-  Conferma delle convinzioni: se vogliamo credere che “basta la grinta”, cerchiamo e ricordiamo solo esempi che lo confermano.-  Invisibilità dei falliti: chi non arriva non racconta; chi arriva racconta molto. La platea vede solo i vincenti.-  Il risultato è una bussola che punta sempre verso “modelli” scintillanti, anche quando sono irripetibili.Impresa e fallimenti: il lato nascosto della curvaUn’altra zona d’ombra del bias del sopravvissuto riguarda l’imprenditoria. Le statistiche internazionali mostrano che molte nuove imprese non superano i primi anni, e la maggioranza delle startup non arriva alla scala promessa dai pitch. Questo non significa che “non convenga provarci”, ma che i modelli costruiti solo su unicorni e storie heroiche sovrastimano la probabilità di riuscita e sottovalutano capitale, competenze e tempi necessari.Decisioni concrete: come evitare gli errori più comuni-  Separare eccezioni e tendenze: ispirarsi alle storie fuori norma è lecito; pianificare su quella base è rischioso.-  Guardare alle distribuzioni, non ai casi singoli: stipendi mediani, tassi di occupazione, probabilità di sopravvivenza delle imprese sono bussola migliore dei racconti virali.-  Valutare i percorsi alternativi con dati alla mano: formazione tecnica, apprendistati e certificazioni possono offrire ritorni solidi; la scelta dovrebbe dipendere da settore, domanda e competenze richieste, non da slogan.-  Misurare i costi opportunità: rinunciare a un titolo può far entrare prima nel mercato, ma può ridurre margini di mobilità e resilienza nelle crisi.-  Dare visibilità ai “non sopravvissuti”: quando si analizza un settore (o si fa orientamento), includere sistematicamente i progetti falliti e i motivi del fallimento.Giovani e famiglie: cosa chiedersi prima di “saltare” l’università-  Qual è il profilo occupazionale del settore? Titoli richiesti, retribuzioni tipiche, carenze di competenze.-  Qual è la via più efficiente al primo impiego qualificato? Laurea breve? ITS/IFTS? Apprendistato? Certificazioni?-  Che rete ho? Molti esempi “senza laurea” erano sostenuti da reti, capitale iniziale o contesti unici, difficili da replicare.-  Come mitigo il rischio? Stage, lavori part-time qualificati, corsi mirati e portafogli di progetti possono ridurre l’incertezza sia scegliendo l’università sia optando per percorsi alternativi.Il punto di equilibrioLa laurea non è un feticcio; è uno strumento che, in media, aumenta opportunità e resilienza. Esistono percorsi vincenti senza università, ma sono meno probabili di quanto suggerisca l’eco mediatica. Il compito di scuole, famiglie, imprese e media è ristabilire la proporzione: smitizzare i pochi “sopravvissuti”, restituire visibilità alla base larga della distribuzione e aiutare ciascuno a scegliere sulla base di dati, non di slogan.  

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